Per quanto i suoi piatti tipici non siano diventati famosi nel mondo come tante altre specialità italiane, la città di Ferrara è un piccolo scrigno di prelibatezze e di tradizioni culinarie rimaste immutate da secoli.
Tutto ebbe inizio grazie alla corte estense, una delle più ricche ed eleganti del rinascimento, culla di letterati, artisti e architetti. Per la prima volta, infatti, a Ferrara venne messo per iscritto un manuale in cui sono elencati tutti gli elementi necessari per approntare un banchetto principesco, dall'arredamento agli utensili da cucina, e contenente numerose ricette, meticolosamente dettagliate. Autore di quest'opera fu Cristoforo da Messisbugo, il più famoso scalco rinascimentale.
Che cos'è uno scalco? In pratica era una figura a mezza via tra il capocuoco e il direttore di sala: qualcuno, insomma, che aveva la responsabilità dell'intero banchetto e che doveva decidere non solo cosa cucinare, ma anche come servirlo, su quali piatti, in che ordine...
Dovete tenere presente che non stiamo parlando di una semplice cena come quelle a cui siamo abituati oggi, ma di una vera e propria ostentazione di potere, che poteva andare avanti per interi giorni. Ogni portata era studiata in modo da ottenere il maggior effetto scenico possibile (immaginate un pavone che dopo essere stato cotto viene rivestito con le sue magnifiche piume e portato in sala mentre sputa fiamme dal becco, oppure un pasticcio salato che, tagliata la crosta, lascia uscire decine di colombe vive), ogni dettaglio doveva essere perfetto. Tra una portata e l'altra erano previsti intermezzi teatrali, di giocoleria o di musica, che andavano anch'essi scelti con cura. Ogni piatto doveva poi essere accompagnato, al suo ingresso, da un'adeguata colonna sonora, composta appositamente (immaginate un musicista incaricato di comporre "La marcia del cappelletto").
Lo scalco doveva avere un controllo perfetto su tutte queste cose e, nella sua opera (Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale), Cristoforo da Messisbugo ce ne tramanda memoria, assieme ad un elenco di ricette minuziose, molte delle quali ancora in uso nella città estense (che ha conservato intatto l'amore rinascimentale per i piatti dai forti contrasti dolce-salato). Esaminiamo dunque rapidamente le principali tra le ricette tradizionali che ancora si possono gustare nella nostra città.
Partiamo da uno dei nostri piatti simbolo, inventato proprio da Messisbugo: Il Pasticcio
Si compone di un involucro di pasta frolla, sulla quale vengono riposti i maccheroni conditi con un ragù bianco, besciamella e funghi. L'equilibrio dolce/salato richiede molta maestria, tanto che oggi molti preferiscono sostituire la frolla con una più semplice pasta sfoglia, per non correre rischi (ma se è fatto bene non c'è santo che tenga: la pasta frolla gli dona una marcia in più). Data la complessità di esecuzione, è sempre stato considerato un piatto di prestigio, che spesso figurava nei pranzi di alto livello e, in tempi più recenti, nei pranzi familiari durante alcune ricorrenze particolari. La presenza dei maccheroni (inventati a Napoli) è inoltre segno dei legami che la corte estense intratteneva con le altre corti europee: infatti, Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, andò in sposa ad Ercole I d’Este nel 1473 e gli scambi culturali fra le due signorie divennero più fitti, cosa che portò alcune delle preparazioni gastronomiche della corte napoletana direttamente sulle tavole dei banchetti ferraresi.
Proseguiamo con la Salama da sugo che, tra le specialità gastronomiche ferraresi, forse quella che più di altre è sopravvissuta immutata nei secoli e che viene ancora preparata secondo l’antico, rigido rituale. La Salama da Sugo, che non è un salame, è un impasto di carne suina macinata con vino rosso, sale, pepe nero, noce moscata, cannella e chiodi di garofano e altri ingredienti segreti che nessun artigiano del gusto sarà mai disposto a rivelare.
Viene stagionata per circa un anno e, prima di finire a tavola, esige una lunga bollitura in acqua, stretta in un panno perché non si spacchi e appesa in modo che non tocchi la pentola. Per mangiarla, si scoperchia e si scava l’impasto morbido e gustoso col cucchiaio. Si accompagna di solito con il purè di patate, ma è molto più “estense” (Le patate sono venute solo dopo, con la scoperta dell’America) associarlo al tipico purè di zucca, che conferisce al tutto un contrasto dolce-salato di antica tradizione.
I cappellacci sono una delle ricette più famose e rinomate dell’Emilia Romagna e si dice che la loro forma richiami il cappello dei contadini, dal quale prendono il nome.
Gli ingredienti originali sono gli stessi della ricetta attuale se non fosse per l’aggiunta di alcune spezie, come lo zenzero ed il pepe, oggi cadute in disuso ma all’epoca della corte Estense particolarmente diffuse.
La zucca usata solitamente è la “Violina“, varietà che deve il nome alla forma allungata simile a quella dello strumento musicale, e dopo la cottura al vapore o al forno, alla sua polpa si mescolano parmigiano reggiano o grana padano, uova, pangrattato, sale, pepe e noce moscata; il ripieno è così pronto per essere racchiuso nella sfoglia preparata a mano.
La Torta di Tagliatelle è un dolce tipico della tradizione emiliana la cui ricetta viene fatta risalire al Rinascimento. È una torta antica e si dice che le “tagliatelle fini” che ne decorano la superficie non siano altro che un omaggio che fu fatto alla bionda chioma di Lucrezia Borgia, signora del Castello Estense di Ferrara per quasi un ventennio.
La base di pasta frolla racchiude una farcitura di mandorle e miele, mentre la decorazione superiore, con nidi di tagliatelline fresche di pasta sfoglia fatta con uova e farina, in cottura al forno diventa particolarmente croccante. Si serve abitualmente bagnata con liquore alle mandorle.
La Torta Tenerina è uno dei dolci emiliano-romagnoli più famosi ed apprezzati. Sembra che sia stata preparata in origine in omaggio di Elena Petrovich del Montenegro, la sposa dell’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III. I ferraresi invece la soprannominarono “torta taclenta”, per la sua consistenza interna quasi appiccicosa che si scioglie in bocca, deliziando il palato. Servita con una spolverata di zucchero a velo o con del mascarpone, questo splendido e gustoso dolce, si presenta con un esterno croccante che rivela al suo interno un cuore di morbido cioccolato fuso ancora semi liquido.
Il Panpepato un dolce che la città di Ferrara condivide con molte zone dell’Italia Centrale. Narrano le cronache che nel 1660 le monache del monastero del Corpus Domini di Ferrara trassero ispirazione da una ricetta del noto cuoco estense Cristoforo da Messiburgo, creando un dolce da inviare alle grandi personalità dell’epoca. Uno dei suoi ingredienti principali è il cacao, che al tempo era appena giunto in Europa dal Nuovo Mondo ed era considerato bene di lusso destinato a pochi. A forma di Zuccotto e impreziosito da mandorle, nocciole, canditi e spezie profumate all’uso rinascimentale, deriva il suo nome dall’antica denominazione “Pan del Papa”, proprio per il suo essere un dolce ricco e sfarzoso. Oggi si può trovare con il nome di Panpepato o Panpapato ed è il dolce tipico del Natale, delle feste e che meglio rappresenta la ricchezza e la raffinatezza di Ferrara. Il suo gusto intenso ed il profumo speziato richiama infatti sia i sapori del territorio che gli intensi profumi che anticamente i bastimenti provenienti dall’Oriente sbarcavano nei porti dell’Adriatico.
Cappelletti in brodo. Una ricetta popolare, di cui esistono numerose varianti: stabilire quale sia la "vera" ricetta è impresa impossibile, oltre che poco utile. Una delle prime menzioni è in un testo risalente al 1556 del Messisbugo. La ricetta tradizionale dei cappelletti prevede, tra gli ingredienti del ripieno (batù) carni di pollo, maiale, vitello o manzo (oltre a guanciale e cotechino), parmigiano, uova e noce moscata
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